giovedì 30 giugno 2011

ESPRIT MÉDITERRANÉEN

Provincia di Bari
Assessorato per i Beni e le Attività Culturali

MOSTRA FOTOGRAFICA
                         
ESPRIT MÉDITERRANÉEN

Bari, Pinacoteca Provinciale, 14 luglio 2011 – 6 novembre 2011
Inaugurazione: giovedì 14 luglio 2011 ore 18.00


Con una scelta di immagini di più di cinquanta autori italiani, che attraverso le loro opere hanno definito una linea di narrazione della propria identità mediterranea, ancora una volta la Pinacoteca Provinciale di Bari è protagonista di un evento culturale che vede al centro dell’interesse il confronto dialettico tra antropologia  e fotografia.
Promossa dall’Assessorato per i Beni e le Attività Culturali della Provincia di Bari, e patrocinata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia, la mostra Esprit méditerranéen, a cura di Clara Gelao, direttrice della stessa Pinacoteca, e di Cosmo Laera, fotografo e ideatore di eventi fotografici, sarà inaugurata giovedì 14 luglio 2011, alle ore 18. 00.

L’esposizione prende spunto dal volume fotografico, curato da Cosmo Laera, con un testo critico di Roberto Mutti (ed. Arti Grafiche Favia, Bari) – che sarà presentato in occasione dell’inaugurazione –, costruito sull’idea dell’esistenza di una sorta di “mediterraneità”, cioè di una più o meno esplicita appartenenza ad una civiltà millenaria, ricca di componenti storiche, filosofiche, antropologiche, e della conseguente possibilità di riconoscere questa dimensione mediterranea, vista non solo e non tanto come definizione topica o come dato anagrafico, ma  come luogo mentale che identifica una particolare ispirazione, un particolare esprit, una particolare logica, negli autori invitati a partecipare all’iniziativa editoriale.
La “mediterraneità” al centro del volume è, in sintesi, intesa come identità antagonista  al fenomeno della globalizzazione, nicchia antropologica – definita dalla consapevolezza dell’appartenenza – che permette agli autori di coltivare un aspetto individuale e autonomo nella loro visione del mondo e si riflette nel loro modus operandi, come suggerisce il titolo, evocativo di una straordinaria riflessione di Paul Valery che all’ispirazione mediterranea aveva dedicato le sue attenzioni già nel 1933.
Le osservazioni di Roberto Mutti inserite nel volume rendono però evidente il fine più sottile e complesso del progetto, che non è solo quello di definire la “dimensione mediterranea” degli autori, ma anche di avviare una riflessione intesa a riconoscere ed approfondire le capacità creative e le potenzialità dell’arte della fotografia: ”Perché, allora come oggi, il Mediterraneo resta soprattutto una dimensione in cui immergersi, uno specchio in cui riconoscere la nostra natura di uomini alla ricerca della conoscenza”.   
Interpreti della eredità mediterranea tradotta nella loro ricerca artistica sono  cinquanta autori dell’area del Mediterraneo:

CRISTINA BARI, FABIO BARILE, COSIMO BELLANOVA, FABRIZIO BELLOMO, GIANNI CATALDI, DANIELA CAVALLO, BERARDO CELATI, NICOLA CENTODUCATI, MICHELE CERA, FRANCESCO CIANCIOTTA, NICOLAI CIANNAMEA, ROSA CIANO, ALESSANDRO CIRILLO, FRANCESCO CITO, MARIO CRESCI, GUILLERMINA DE GENNARO, DONATO DEL GIUDICE, GIUSEPPE DE MATTIA, GIUSEPPE DI GIGLIO, STEFANO DI MARCO, TIZIANO DORIA, GIUSEPPE FANIZZA, LUCIANO FERRARA, ARIANNA FORCELLA, BEPPE GERNONE, FRANCO GIACOPINO, GAETANO GIANZI, COSMO LAERA, GIANNI LEONE, CARMELA LOVERO, GIUSEPPE MAINO, FRANCESCO MEZZINA, DOMINGO MILELLA, LUIGI MINERVA, CARMELO NICOSIA, FRANCO PIERNO, GINO PUDDU, CIRO QUARANTA, FRANCESCO RADINO, MICHELE ROBERTO, CALOGERO RUSSO, FRANCESCO SCAGLIUSI, SAVERIO SCATTARELLI, TONINO SGRO', FRANCESCA SPERANZA, PIO TARANTINI, ANTONIO TARTAGLIONE, ROBERTO TARTAGLIONE, CHIARA TOCCI, MAKIS VOVLAS, GIANNI ZANNI.

Mostra a cura di: Clara Gelao e Cosmo Laera

Volume-catalogo: a cura di Cosmo Laera, ed Arti Grafiche Favia, Bari

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e-mail: ufficiostampa@provincia.ba.it

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tel. 080/ 5412421/2/3/4/5/6/7
Fax 080/ 5583401


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Via Spalato 19 / Lungomare Nazario Sauro 27, 70121 Bari
Tel. 080 / 5412421/2/3/4/5/6/7
Fax 080/ 5583401

IL MARE DEL NOSTRO SCONTENTO di Roberto Mutti

Il Mare di Mezzo, questo è il nome con cui in tutte le lingue dei paesi che
vi si affacciano viene chiamato il Mediterraneo, circonda ma non separa,
unisce e non divide, avvicina anche quando sembra separare. Sulle sue coste
si sono affacciate le più straordinarie civiltà di una antichità che ha
lasciato segni indelebili su quella che è ora la nostra, perché quel mare è
stato sempre e per tutti non un  ostacolo ma una sfida che ognuno ha voluto
vincere a modo suo. Gli Egiziani, pur abituati alle più placide acque
fluviali, lo hanno attraversato con barche solo apparentemente fragili fatte
di canne, i Fenici venuti da lontano vi sono scivolati rapidi e silenziosi,
i Sardi lo hanno saggiato prudenti, i pirati combattuti da Pompeo ne hanno
abitato gli anfratti, i Cartaginesi ne hanno sfruttato le potenzialità, i
Romani lo hanno semplicemente fatto loro. Solo i Greci lo hanno davvero
capito: dapprima indagandolo nel profondo per creare una rete di commerci,
poi trasformando la loro esperienza in una trappola per attirare le navi
persiane, e sconfiggerle, negli stretti spazi di Salamina. Sono loro ad aver
raccontato su quel mare storie bellissime intrecciate ai miti più suggestivi
che ancora ricordiamo quando le onde che penetrano nelle cavità delle rocce
evocano l’urlo mostruoso di Scilla e l’acqua che si solleva minacciosa
sembra spinta dall’ira di Posidone.  Ma il Mediterraneo è anche quel mare
che delinea la bellezza di un orizzonte dove spesso, in lontananza, si
intravedono i profili di altre terre, lontane quanto basta per sognarle ma
sufficientemente vicine per immaginare di poterle raggiungere. Per questo
Odisseo non è la storia di un personaggio ma quella di tutti quanti sanno
alternare il timore e il confronto, il rispetto per la natura e la voglia
d’avventura, la riflessione attenta e la sfida aperta. Da tutto questo nasce
quel complesso rapporto rinsaldato dal commercio grazie al quale abitudini
alimentari e consuetudini sociali, tradizioni culturali e innovazioni
tecnologiche si diffondono rendendo permeabili i confini. Le analogie sono
più evidenti delle diversità perché ogni città di mare ha un intrico di
strade così costruite per evitare che il vento le flagelli, ogni insenatura
degli spazi per tirare a secco le barche, ogni costa torri di avvistamento,
ogni porto arsenali per riparare le navi e bettole per rifocillare i
marinai. Poi c’è la storia bellissima del sabir, la lingua franca (dal
catalano saber, sapere) usata per secoli nei porti del Mediterraneo: nessuno
l’aveva codificata, nasceva semplicemente dalla fusione dialettica di
termini, strutture grammaticali e cadenze di provenienza greca, occitana,
siciliana, sarda, latina, araba, catalana, spagnola, veneziana, genovese,
turca. Una vera e propria torre di Babele di segno opposto dove tutti si
capivano, sia che si scambiassero informazioni sui nuovi approdi sia che si
maledicessero dalle rispettive murate prima di una battaglia.
E’ la ricerca delle antiche e grandiose civiltà mediterranee a dare origine
al Grand Tour che, per chi poteva permetterselo, era un viaggio di
formazione dove ogni realtà veniva idealizzata (i contadini siciliani
avevano poco a che fare con la Magna Grecia, la campagna romana ignorava più
che conservare le tracce architettoniche dell’Impero) ma anche riscoperta.
Quando, a metà Ottocento, ai disegni realizzati dai viaggiatori si
sostituirono le fotografie che si potevano comperare in loco, un nuovo
immaginario collettivo iniziò ad imporsi ed era fatto di una realtà più
concreta e, forse per questo, ancor più bella perché autentica dove si
mescolavano le tracce delle antiche civiltà, la realtà sociale dei
contemporanei e la maestosità dei paesaggi. Da allora l’obiettivo dei
fotografi è come se si fosse fatto carico di sintetizzare nella
contemporaneità la stratificazione della memoria storica perché riprendere
il Mediterraneo significa acquisire una sorta di inconscio visivo che
riemerge prepotentemente nelle immagini ed è subito percepibile. Se tutto
ciò era evidente nelle opere del passato, lo è a maggior ragione in quelle
contemporanee che fruiscono di una riflessione più attenta e degli esiti di
una ricerca che tende ad arricchire il linguaggio fotografico di una forte
valenza non solo estetica. Ne è riprova questo panorama di autori fra di
loro diversi per età, formazione, scelte stilistiche eppure tutti
accostabili nella comune ricerca di segni, significati, valori.
Quando i fotografi si accostano alle persone per farne i loro soggetti
prescelti non possono che interrogarsi sulle identità ed è probabilmente per
questo che è facile imbattersi in figure che si muovono indefinite nello
spazio bianco, primi piani dai caratteri appena accennati o dai cromatismi
labili, uomini e donne che passeggiano anonimi e veloci sulle strade magari
calpestando antiche pietre. Per altri l’identità la si ritrova, invece, nel
rapporto spesso sottolineato con la natura, nell’orizzonte concluso degli
interni delle case, nel ritrovarsi nei luoghi di lavoro non importa che
siano un negozio o una cava, nel poter constatare – nelle immagini
convenzionali delle fototessere – con quanta mescolanza di etnie ancora una
volta il Mediterraneo fa i conti. Poi lo sguardo corre rapido all’orizzonte
e qui si percepisce, nell’uso di cromatismi delicati, nell’attenzione alla
composizione, nella ricerca delle architetture che caratterizzano spiagge e
arenili, nella sottolineatura di situazioni insolite, nella bellezza
straniante dello spazio vuoto, la lezione di Luigi Ghirri che anche ai
giovani ha lasciato spunti e suggerimenti per osservare il paesaggio con
occhio insieme rigoroso e fanciullesco. Poi però, basta gettare lo sguardo
un po’ più in là ed ecco in tutta la sua contenuta maestosità un  mare che
si muove fra gli scogli, disegna la linea dell’orizzonte, fa sentire la sua
costante presenza che, quando non si vede, si indovina. In altri casi emerge
un richiamo al passato che si coniuga nell’accostamento fra l’archeologia
antica che qui rimane sullo sfondo e quella del presente fatta di brutti
palazzi precocemente invecchiati, muri, case e strade deserte come fossero
state già abbandonate, fabbricati incompiuti, edifici che mostrano le loro
strutture parzialmente demolite del tutto prive di fascino. Accanto a questa
dolorosa ma indispensabile parentesi, torna a sentirsi la ricerca del senso
del mistero: lo si trova negli interni di case con mobili, specchi, letti,
muri che sembrano conservare frammenti di memoria, lo si coglie nei rituali
capaci di riproporre il senso di una spettacolarità che nei matrimoni sa
essere autenticamente teatrale. Alla fine emerge quell’antico senso
dell’ignoto che non ha mai abbandonato questo mare: lo si coglie nelle
immagini di certi vecchi edifici deserti con le finestre affacciate sul
mare, nell’inquietante sequenza del cimitero di pescherecci arenati e
piegati su un lato, nell’obiettivo che scruta da vicino la forma dei pesci
alla ricerca dell’insolito e, talvolta, del mostruoso. Perché, allora come
oggi, il Mediterraneo resta soprattutto una dimensione in cui immergersi,
uno specchio in cui riconoscere la nostra natura di uomini alla ricerca
della conoscenza.    

FOTOGRAFIA E IDENTITA' MEDITERRANEA di Antonella Pierno

E' un dato in continua crescita quello che vede la fotografia occupare una posizione preminente nella produzione  e nella ricerca artistica contemporanea, e al ruolo degli autori è affidato il compito di sperimentare e confrontare nuove strade per l'uso del linguaggio più diffuso del pianeta.
La fotografia ha, com'è noto, una valenza comunicativa universale che ha determinato una fruizione a più livelli, e con un tempismo formidabile, si è affermata nella sua funzione mediatica diventando  la risposta immediata a qualsiasi richiesta: dai social network  ai motori di ricerca più diffusi, l'icona fotografica è la chiave di accesso per l'identificazione del soggetto o per la ricerca delle tematiche più varie. Infine, come per tutte le  strutture narrative, il suo utilizzo implica  la necessità di convergere in alcuni campi o generi prettamente legati all'evoluzione di un modello iconografico, sul termine  che ci consegna il dato mnemonico.
Dati questi elementi di base è necessario aggiungere un ulteriore riflessione sulla dimensione di mediterraneità che si vuole affrontare in questa occasione e che propone la stesura di un tessuto su cui si potranno collocare autori afferenti a questa condizione concettuale.
Esiste una identità mediterranea probabilmente  in un immaginario collettivo, frutto a sua volta di definizioni e di margini costruiti per indurre la parte più libera della conoscenza, la visione, a rintracciare una logica descrittiva, ad una certezza delle proprie origini.
Così l'autore fotografo è indotto ad una presa di coscienza del proprio ruolo come protagonista di una scrittura in tempo reale di  un momento storico e di una svolta epocale in continuo divenire.
La struttura della visione fotografica  subisce sollecitazioni espressive in ogni possibile occasione di confronto tra la realtà, intesa come concreta, come superficie tangibile e riproducibile, e la resa eidetica ad essa conducibile, l'evocazione frutto di un ricordo, strascico della narrazione che in un istante ritorna.
Alla condizione di appartenenza all'identità Mediterranea è dedicata questo progetto che parte da Bari, nel mezzogiorno d'Italia, banchina ed attracco di una Europa che spesso sfugge a questo mare, quasi fosse un dettaglio in una carta geografica e non uno degli aspetti antropologici più rilevanti sul piano della morfologia di un intero continente, di una civiltà.
Questi autori rappresentano la loro identità iconografica, sviluppata attraverso la fotografia e portato all'interno di un disegno culturale connotato e consolidato, evidenziando fattori presenti nella  stessa poetica: si tratta di una lettura basata su parametri stilistici, elementi costanti in un atmosfera celebrata nel tempo dall'arte, e vissuta nel contemporaneo attraverso una dimensione di compresenza in un luogo attraverso la visione. 
Già l'ipotesi di una possibile definizione del termine mediterraneo trasporta verso scenari di complessi tumulti di incalzante attualità; il potere evocativo implicito nella parola ci offre spunti per il principio di una storia rivolta alla luce e all'orizzonte, allo studio di una figurazione fotografica che meglio di qualsiasi parola potrà contenere e trasmettere la forza espressiva di questa identità non solo simbolica.

Qualche Osservazione di Clara Gelao


Mediterraneo. Al solo sentir pronunciare, oggi, questa parola che nel suono dolce e strascicato sembra evocare panorami di placida, pigra bellezza, chiunque ritiene che si sia detto tutto sul mare nostrum, almeno sotto l’aspetto fotografico, che è quello che ci interessa in questa occasione.
Una importante esposizione tenutasi a Roma, presso Palazzo Giustiniani, nell’ottobre-novembre 2004 (e poi spostata ad Istanbul), dal titolo Il Mediterraneo dei fotografi. Passato, presente, il cui nucleo principale era costituito da un’ampia selezione di fotografie “storiche” tratte dagli archivi Alinari, ha avuto a suo tempo il grande merito di sottolineare come, dal punto di vista strettamente fotografico, il Mediterraneo sia uno dei luoghi-simbolo che più precocemente ha attratto l’attenzione degli autori, di quegli straordinari pionieri, cioè, spesso di provenienza anglosassone, disposti ad affrontare a dorso di mulo o di cammello, trasportando con sé pesanti e scomode attrezzature, difficoltà d’ogni genere, pur di immortalare i diversi aspetti dei paesi che si affacciano su quello che è certamente il mare più denso di storia e di passato del mondo (e pensiamo soprattutto a come la fotografia abbia contribuito a far conoscere luoghi sino alla prima metà dell’Ottocento noti solo attraverso descrizioni letterarie e carnets di disegni).
Si era convinti, all’epoca, che la fotografia, per quanto “costruita” e frutto di una scelta personale, diversamente dalla rappresentazione pittorica mostrasse la realtà così com’era, o mostrasse per lo meno una realtà verisimile, che molti non avevano mai veduto e che probabilmente non avrebbero veduto mai.
Migliaia e migliaia di immagini del Mediterraneo (luoghi, persone, cose, attività, fatti positivi e negativi, sbarchi, emigrazioni ed immigrazioni, vita e morte, in definitiva) sono state scattate da allora, e chissà che un domani le moderne tecniche di catalogazione informatica non ci permettano di censire per temi e per autore almeno le più significative: un campionario così vasto, vario e personale che è un po’ come l’infinito, un concetto che, a volerlo percepire nella sua interezza, ci spaventa, ci mozza il respiro perché enormemente superiore alle nostre capacità di comprensione.
Cosa c’è da dire di più, insomma, del Mediterraneo? Sembrerebbe che tutto sia stato detto e visto, goduto e sofferto, sperimentato, fotografato soprattutto. Ma questa mostra (e il bel volume che l’accompagna, curato da Cosmo Laera) ci spinge nonostante tutto ad interrogarci ancora, a chiederci: ma i luoghi, le persone, e tutto quel vastissimo mondo mediterraneo che si può fotografare, sono sempre gli stessi (fatta ovviamente eccezione per le naturali metamorfosi apportate dall’uomo e dal tempo), o cambiano a seconda di chi li guarda e li interpreta? e se sì, come tutti concordiamo nel credere, c’è un qualcosa che accomuna gli autori del Mediterraneo, c’è una visione, un’ispirazione, un’anima mediterranea, un esprit, ecco, che li accompagna ovunque essi vadano e che li fa riconoscere e sentire parte di uno stesso mondo, accomunati da un qualcosa che, pur difficile da definire, esiste realmente?
Cosmo Laera ritiene di sì, e intende dimostrarlo attraverso questa raffinata scelta di immagini destinate, come dice nella sua introduzione, ad essere anche uno straordinario mezzo di “riconoscimento” reciproco. Non sono in grado, oggi, di abbracciare in toto quest’idea, ma non perché sia renitente ad accoglierla, ma perché ritengo che questo esprit mediterranéen, se esiste, e non dubito che esista, debba essere verificato anche molto al di là del Mediterraneo, che sia proprio una diversa visione del mondo, più complessa e ancestrale. Noi mediterranei ci portiamo dentro, che lo vogliamo o no, che ce ne rendiamo conto o no, la storia, ed è questo che ci fa così diversi e ci fa essere quello che siamo, più profondi e antichi, anche se stritolati dal mito della modernità. Ed è il fotografo colui che, vedendo di più degli altri, anzi, meglio, vedendo “diversamente” dagli altri, può interpretare al meglio questa dimensione. 

Fotografia, mediterraneità e umana conoscenza di Cosmo Laera

Avviare una ricerca e rendere la fotografia il mezzo di conoscenza ottimale tra più persone in più luoghi – luoghi che corrispondono alla città in cui si vive o al posto in cui si lavora – e, a dispetto di distanze e tempi, scoprire l’identità remota, la vena profonda che le rende parti di un microcosmo, quello della fotografia, appunto: questo, sostanzialmente, l’intento di questo volume.
I network più in auge, trasversali e democratici, pongono oggi l’individuo in condizione di manifestare le proprie idee anche a prescindere dalle potenzialità della tecnologia e un numero rilevante di persone si concentrano, legate dal comune interesse di conoscere un determinato fenomeno. Si genera pertanto una specie di fenomenologia della conoscenza, seppure virtuale.
Mi pare opportuno, a questo punto, chiarire meglio i precedenti di questo progetto di ricerca, che si pone come conseguenza e congiunzione derivate, almeno concettualmente, da esperienze espositive ed editoriali comuni, fondate sulla conoscenza diretta con i cinquanta autori invitati, e che ha potuto tradursi in realtà grazie ad un editore illuminato, Francesco Favia, e alla sintonia  di vedute da tempo creatasi con Clara Gelao, direttrice della Pinacoteca Provinciale di Bari. L’ambizione del progetto è quella di congiungere ancora una volta le rive di un mare troppo spesso alla ribalta della cronaca solo per questioni antiche di esodi e migrazioni di popoli, fughe e approdi, e di esplorare quanto abbia inciso, sulla visione di ogni singolo autore, la percezione dilatata del tempo, del flusso di memorie e di maree, della forza di una dimensione ancestrale che si riflette nella luce o nelle ombre lunghe di un pomeriggio indipendentemente dalle latitudini: una dimensione che abbiamo definito esprit méditerranéen e che accomuna tutti gli autori invitati, a prescindere dal “dove” le contingenze li abbiano poi portati. Fine prioritario di questa raccolta d’immagini è insomma quello della conoscenza, il conoscersi a Berlino piuttosto che a Londra o alla Bovisa, il trovarsi a ragionare di visioni e di spunti per un lavoro comune, il tirar fuori l’attaccamento spesso mimetizzato per le proprie origini, che riemergono inaspettatamente al primo cenno di una cadenza nella voce, il riconoscersi nella comune scelta di aver dovuto ‘prendere il largo’ per mille ragioni.




La fotografia introduce alla narrazione della propria storia, come possibilità di agire all'interno di un mezzo espressivo che svolge il ruolo di collante per un rapporto interpersonale, fondamentale per avviare i termini di un dialogo, per comporre una sorta di antologia che contiene le biografie per immagini degli autori, la loro personale interpretazione di ritratti, paesaggi, interni: risposta corale e testimonianza della propria presenza, delle proprie idee. 
Attraverso l’approfondimento della reciproca conoscenza è possibile forse offrire una risposta alternativa, tendenzialmente coerente e comune, ad un processo sociale che può generare alienazione e perdita del senso di identità, un’identità che è invece quanto mai vitale e presente, come appare evidente dalla ricerca artistica presentata sotto il titolo, volutamente evocativo, di Esprit méditerranéen.





CRISTINA BARI

Maria Cristina Bari è nata proprio a Bari nel 1968, dove vive e lavora. Per il Teatro Kismet OperA, dal '90 si occupa della cura dell'immagine: progettazione e realizzazione della linea grafica, costumi e allestimenti per le produzioni teatrali e coordina la sezione dedicata alle "arti visive". Dal '97 collabora con Rosaba Branà, direttrice del Museo Pino Pascali (Polignano a Mare - Bari), come artista visiva. Quest’anno è invitata ad esporre alla Biennale di Venezia 2011, dopo la partecipazione alle Anteprima XIV Esposizione Quadriennale d'Arte nel 2003. Dal 2005 collabora con l’Università di Bari, Facoltà di Lettere – Laurea specialistica in Spettacolo e produzione multimediale come docente di Informatica applicata alla Grafica e Comunicazione Visiva.








FABIO BARILE

Fabio Barile nato a Barletta, Italia, 1980 Diplomato in fotografia presso la Fondazione Studio Marangoni, Firenze. Nel 2007 è stato selezionato tra 15 finalisti del concorso Atlante Italiano 007 

Nel 2009, partecipa al Festival Internazionale di Fotografia di Roma, l'Italia con il personale progetto Diary n ° 0, Cose che non avvengono, a cura di 3/3_studio per la ricerca sulle immagini fotografiche, una parte di questa mostra è stato anche incluso nel principale programma di foto Festival di Atene 2009. Una revisione del libro fotografico "n ° 0 diario" è stato pubblicato su "schiuma" rivista di fotografia internazionale. Nello stesso anno ha partecipato con il progetto "fra" nella mostra "Tempi osceni" presso il "centro d'arte nda liicht" Dudelange, Lussemburgo. 





COSIMO BELLANOVA

CoBell, nome d’arte di Cosimo Bellanova, nato a Ceglie M.ca (BR) il 1981, vive e lavora a Berlino dal 2009. www.cobell.it Si avvicina alla fotografia durante gli studi di pittura all’Accademia di Belle Arti di Lecce, utilizzando fotografie di orizzonti per trasformarli sulla tela in spazi di colore fluorescente.
La necessità di utilizzare al meglio la luce e il colore lo portano all’approfondire tecnicamente la fotografia sino a iniziare una ricerca fotografica “Moving” caratterizzata da fasci di luce e ombre di soggetti in movimento o immobili che svaniscono dall’inquadratura.
Si concentra poi sui piccoli oggetti comuni e nasce un photobook “quando Tutto e Niente si sfiorano”, fotografando in macro sviluppava diverse identità e significati di oggetti come temperamatite, lamette da barba, tappi di penne, spille e altro, così sfogliando il libro si iniziava una sorta di indovinello per capire quale fosse la vera identità dell’oggetto che si stava osservando. L’attuale ricerca si concretizza sul raccontare storie utilizzando fotografie in sequenza spesso montate su video e con l’uso del sound, come “di Mio Padre Innamorata” dossier di 33 foto che raccontano della doppia personalità che vive quotidianamente una donna, o “Escape” una fuga per molti ebrei mai avvenuta che va da Auschwitz passando per Birkenau fino ad arrivare a Krakow e “New Fable” che racconta delle personalità residenti all’interno degli appartamenti di una casa a quattro piani che dall’esterno appare dolce e quiete.


FABRIZIO BELLOMO

Fabrizio Bellomo, Bari, 1982. Laurea in disegno industriale presso la facoltà di architettura dell'università degli studi di Firenze (2003/07); master in fotografia presso la fondazione Forma di Milano in seguito a una borsa di studio ricevuta dalla regione Puglia nell'ambito del progetto "Bollenti Spiriti" (2009).
Workshop e laboratori: Beat Streuli (museo di fotografia contemporanea di Cinisello Balsamo-2011/12); Francesco Jodice (Fondazione Forma per la fotografia-2009); Mario Cresci/Martine Voyeux (Corigliano per la fotografia-2008); Sukran Moral (accademia di Belle Arti di Bari-2008); Lapo Binazzi (facoltà di architettura dell'università degli studi di Firenze-2003).
Interessato all'utilizzo concettuale e meta-linguistico dei mezzi rappresentativi. Selezionato dal museo di fotografia contemporanea di Cinisello Balsamo (MI) per un progetto/commissione d'arte pubblica per il biennio 2011/12; selezionato dalla regione Puglia per l'ideazione e la realizzazione di un progetto d'arte pubblica nel porto antico di Bari (2011); collaborazione con l'artista lussemburghese Bert Theis  nell'ambito del progetto Isolartcenter (Milano); promotore di un progetto di ricerca legato alla giovane fotografia pugliese:"cartoline dalle puglie"(2010/11); selezionato per numerose esposizioni collettive, rassegne video e progetti da diversi critici e curatori italiani, fra cui: R.Barilli, R.Gavarro, M.Bazzini, F.Zanot, L.Panaro, M.Balduzzi, R.Valtorta, T.Macrì, A.Marino, L.De Venere.




GIANNI CATALDI

Gianni Cataldi è nato a Bari dove vive e lavora. Inizia la pratica fotografica alla fine degli anni 80’ come autodidatta, successivamente frequenta associazioni fotografiche locali dove si confronta e cresce sviluppando un proprio percorso di lavoro individuale privilegiando il reportage e il ritratto. Dal 1995 partecipa agli stages di “Montedoro Fotografia” e “Alberobello Fotografia”. Collabora con la rivista Musica Jazz e con il MIA ( Musicisti Italiani Associati Jazz ) e cura l’immagine  della Dolmen Orchestra con cui, nel 2001, lavora ad un progetto musicale (Minotrauma) sulla figura del Minotauro tratto dall’ opera di Friedrich Dürrenmatt. Collabora con musicisti come Michel Godard, Yves Robert, John Surman, Cristina Zavalloni, Roberto Ottaviano, Gianna Montecalvo.   Nel 2002 è invitato dalla Associazione Culturale “Terra Fertile” di Altamura a  presentare un incontro-proiezione sulla figura del trombettista Chet Baker.Dal 2004 documenta il festival internazionale musicale di Samois Sur Seine, dedicato alla memoria del chitarrista - compositore Django Reinhard.Nel 2005 realizza le immagini per un altro progetto musicale: “Steve’s Mirror”, un omaggio a Steve Lacy, per l’etichetta discografica Soul Note. Nel 2006 partecipa alla Selezione International Award , Bariphotocamera, per il lavoro “Feltrinelli Libri e Musica – Tempi Moderni”. Dal 2009 col collega Pasquale Susca è fotografo ufficiale del Festival “Per il Cinema Italiano” ItaliaFilmFest poi Bif&st. Sempre nel 2009, con altri fotografi, realizza le immagini per la guida turistica “Bari - Appunti di Viaggio”, progetto a cura dell’Associazione “Sguardi d’Autore”.  Sviluppa progetti sul territorio regionale e nazionale legati allo spettacolo e al reportage: nella musica e nel sociale ha intensificato la sua ricerca personale, attraverso progetti di ampio respiro.



DANIELA CAVALLO

Nata a Ostuni (Br) nel 1982, vive e lavora a Milano, Diploma Accademicoin pittura, 2005, Brera.
MOSTRE PERSONALI  
2011 Rin Zen, SPONGE LIVING SPACE a cura di Stefano Verri, Spazio Nova Dea, Ascoli Piceno.
2010 Time Sirens, a cura di Silvia Fabbri, Project Room, Fondazione Durini, Milano
What Changed your life? ContemporaryArt, a cura di Chiara Canali, patrocinato dal comune di Milano, Superstudiopiù.
2009 Che voli prendere,a cura di Roberto Mutti, Galleria SanSalvatore (MO).
2008 Ascension, a cura di Ivan Quaroni, Studiodartefioretti ,(BG).
2007 Suspense, a cura di Chiara Canali, Angelart, Milano
2006 Speculazioni, a cura di Chiara Canali e Paolo Manazza, Aus18, Milano
2005 Multiethnos,a cura di Fabrizio Boggiano, Galleria Joyce & Co, Genova
MOSTRE COLLETTIVE
2011 The New Grotesque a cura di S.Fabbri, Sputnik, S. Ambrogio, Milano.
2010 Like a bowll foll of jelly a cura di I.Quaroni, Livorno
Christmas Tree d'Artista II- SPONGE LIVING SPACE a cura di Jack Fisher, Pergola (Pu)
Contemplazioni d'arte...attendendo, a cura  di Roberta Ridolfi, 
2009 Stile libero,Galleria Cannaviello, Milano
2008 “Intarnational Festival of Experimental Art”, Biennale di S. Pietroburgo, a cura di E.
Fornaro (Russia). Biennale di fotografia e video, a cura di F. Boggiano, Alessandria Ouverture, a cura di Alberto Zanchetta, Galleria San Salvatore, (Modena) GERMINAZIONI – A NEW BREED  a cura di Luca Beatrice, Chiara Canali, Norma Mangione    e Alberto Zanchetta. Palazzo della Penna ,Perugia
2007 La nuova figurazione to be continued, a cura di Chiara Canali, Fabbrica Borroni (MI)  Orizzonti e dintorni, a cura di Ken Damy e Chiara Canali, Galleria delle Battaglie, Brescia. Allarmi 3, Caserma militare Como
Il grande disegno Bollate (MI) FABBRICA BORRONI, a cura di Elisa Gusella
2006 SUONI E VISIONI International a cura di Fabrizio Boggiano Massimiliano Messieri (Amburgo Museo Contemporaneo, Copenaghen Museo d'Arte Contemporanea, Genova Villa Santa croce, S.Marino Galleria d'arte Contemporanea) REMAKE PROGETTO maionese, a cura di Mariagrazia Torri, (TO)
2005 Figure urbane, a cura di Chiara Canali, Aus18, Milan Ecce Homo, a cura di Fabrizio Boggiano, Castello di San Pietro in Cerro, Piacenza   
2003 Ritorno a Itaca, Galleria S.Fedele, Milano Salon, Palazzo della Permanente, Milano